sabato 19 marzo 2016

Un doloroso tentativo di scisma

Un doloroso tentativo di scisma
Gli anni ‘60 videro il fiorire di molte opere e il divulgarsi della devozione all'Amore Misericordioso, ma furono anche uno dei periodi più dolorosi della vita di Madre Speranza. Ci fu, infatti, un consistente abbandono della Congregazione da parte di molte suore e la minaccia di uno scisma al suo interno.
Nel 1963 si era aperta in Spagna la prima casa dei Figli del­l'Amore Misericordioso e dall'Italia furono inviati alcuni reli­giosi. Madre Speranza desiderava, infatti, per le sue figlie delle guide sicure, impregnate dello spirito proprio della Con­gregazione. Era suo desiderio che suore e padri, figli della stessa Madre, vivessero uniti come fratelli, con amore e ri­spetto. L'accoglienza riservata ai padri fu all'inizio calorosa e fraterna e la collaborazione improntata allo spirito di carità e collaborazione, occupandosi le religiose dei servizi loro propri e i religiosi dell'assistenza spirituale e della scuola ai ragazzi.
Ma un po' alla volta cominciarono a manifestarsi da parte di alcune suore malumori e dissensi. La presenza dei confratelli, invece che un aiuto, fu vista come un tentativo di prevalere su di esse imponendo il loro punto di vista. Ci fu in seguito un ri­fiuto della persona di Madre Speranza, della quale si arrivò a mettere in discussione i fenomeni straordinari e la sua fedeltà al carisma di fondazione. Non si teneva presente che, come fondatrice e depositaria di un carisma aveva tutto il diritto di attualizzarlo durante il corso della sua vita.
La costruzione del Santuario di Collevalenza non era nelle loro previsioni; non ne sentivano la necessità e tanto meno ritenevano doveroso dover contribuire economicamente alla sua costruzione. A diffondere queste idee erano suore che rico­privano cariche importanti, come la Superiora della comunità di Bilbao, da tutte molto stimata e che godeva di molto presti­gio, e la Maestra delle novizie, che essendo entrata già adulta in Congregazione non ne aveva assimilato lo spirito. Per questo risultò facile coinvolgere varie suore, soprattutto giovani, che finirono con il perdere la vocazione e uscire dall'Istituto.
Il comportamento di Madre Speranza in questa vicenda fu prudente e materno, improntato alla comprensione e al per­dono. In una lettera circolare inviata alle sue figlie di Spagna, il 28 aprile 1965, Madre Speranza afferma che anche questa prova, come quella degli anni 40, il Signore l'aveva permessa per la loro santificazione. Invitava perciò a dimenticare quello che era accaduto, a non giudicare e a perdonare sinceramente.
"Vostra Madre perdona di cuore tutto ciò che direttamente o indirettamente ha potuto offendere questa povera creatura e chiede al Buon Gesù di non tenere in conto le offese a Lui fatte da queste figlie nel loro accecamento".

Continuò a considerare figlie anche coloro che l'avevano abbandonata, a pregare per esse, disposta ad accoglierle con amore materno, come di fatto fece con alcune di esse che tornarono sui loro passi. L'enorme sofferenza che questo av­venimento causò alla Madre è paragonabile solo a quello di una mamma che si sente rifiutata dai suoi stessi figli. Tutto però contribuì a dare maggiore consistenza alla sua vita spiri­tuale, ad accrescere la sua capacità di soffrire ed amare, a ren­derla sempre più simile a Cristo, tradito e rinnegato dai alcuni dei suoi stessi apostoli. Quando nel 1966 potrà tornare in Spa­gna le acque si erano completamente calmate e fu accolta dal caloroso abbraccio delle sue figlie fedeli che in ogni casa vol­lero manifestare la loro gioia, la loro fedeltà e il loro amore.

Un misterioso passaggio di consegne

Un misterioso passaggio di consegne
"Stavo in casa dello zio Sacerdote, sentii suonare il cam­panello, scesi giù e vidi...".
Cosa vide la piccola María Josefa, all'età di dodici anni, mentre si trovava in casa di D. Manuel, parroco di Santomera? Sono molti ad aver sentito dalle sue stesse labbra il racconto di un incontro misterioso con santa Teresa di Gesù Bambino. P. Arsenio Ambrogi, presente a Collevalenza quando da Parigi arrivò al Santuario la statua della santa di Lisieux, ha lasciato una relazione dettagliata di quanto Madre Speranza disse in quella circostanza.
"Madre Speranza era lì, vicino alla piccola statua e la accarezzava come si accarezzerebbe una bambina e dolce­mente le disse; ‘Figlia mia, qui devi lavorare, perché ci tro­viamo nel Santuario dell'Amore Misericordioso'. Poi si volse di scatto verso di me e mi disse: ‘Vede, Padre: questa qui io l'ho conosciuta che avevo dodici anni... Vidi una suora tanto bella che non avevo mai visto.
Mi meravigliai che non portasse la bisaccia per raccogliere l'elemosina, pensavo, infatti che fosse una suora questuante e le dissi subito: ‘Suora dove mette la roba che le do se non ha neanche le bisacce?'. E lei mi rispose: ‘Bambina io non sono venuta per questo!? - Ma sarà stanca del viaggio, prenda la se­dia!’ – ‘Non sono affatto stanca’ – ‘Con questo caldo avrà sete!’ – ‘Non ho sete’ – ‘Allora che vuole da me?’. E lei mi disse: ‘Vedi bambina, io sono venuta a dirti da parte del Buon Dio che tu dovrai cominciare dove ho finito io’.
E mi parlò a lungo della devozione all'Amore Misericor­dioso che avrei dovuto diffondere in tutto il mondo. Ad un certo punto mi voltai e la suora non c'era più. Era proprio lei, sa! Era proprio lei.
E dicendo questo additava la statua di santa Teresa del Bambino Gesù che era lì in mezzo a noi. E aggiunse: “Dio non vuole essere più considerato come un giudice di tremenda maestà, ma come Padre buono. È questa la missione che io ho ricevuto”.
E a questa missione, possiamo dire che da quel momento, Madre Speranza incominciò a dedicare tutte le sue attenzioni rendendosi disponibile alla volontà di Dio.


L'abbandono più doloroso "Qui cominciarono le lotte che venivano da persone molto buone come erano le mie sorelle della Congregazione, Sacer­doti, Religiosi e persone rispettabili, ma queste persone furono accecate ad opera dell'inferno intero, per la loro e la mia sofferenza". Di fronte alla reazione negativa dei Superiori, Padre Anto­nio Naval andò anch'egli a Vicàlvaro per annunciare che anche il Vescovo di Madrid, Mons. Leopoldo Eijo y Garay, era di parere contrario perché l'opera si portasse a compimento, ma incoraggiò la Madre a perseverare nella sua decisione, con­vinto che quella era la volontà di Dio. Madre Speranza, molto addolorata, ritenne allora conveniente riferirgli un suo presen­timento avuto dopo la Comunione, che cioè per portare a com­pimento l'opera si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti, momentaneamente perfino dal suo Padre Spirituale. Era soprattutto questo abbandono a farla soffrire, ma confidava che dopo questa dolorosa prova sarebbe tornata a confessarsi da lui e a ricevere i suoi saggi consigli. Nonostante l'esplicita dichiarazione del Padre Naval di non abbandonarla per nessun motivo, di fatto, dopo alcuni giorni, costui le comunicò per telefono che il Superiore e il Vescovo gli impedivano di appoggiarla nella realizzazione della sua opera e che se si fosse ostinata nel proseguire sarebbe stata scomunicata. Madre Speranza, con rispetto, ma con altrettanta franchezza disse al Padre Antonio Naval: "Non è forse vero, Padre, che nel ri

L'abbandono più doloroso
"Qui cominciarono le lotte che venivano da persone molto buone come erano le mie sorelle della Congregazione, Sacer­doti, Religiosi e persone rispettabili, ma queste persone furono accecate ad opera dell'inferno intero, per la loro e la mia sofferenza".
Di fronte alla reazione negativa dei Superiori, Padre Anto­nio Naval andò anch'egli a Vicàlvaro per annunciare che anche il Vescovo di Madrid, Mons. Leopoldo Eijo y Garay, era di parere contrario perché l'opera si portasse a compimento, ma incoraggiò la Madre a perseverare nella sua decisione, con­vinto che quella era la volontà di Dio. Madre Speranza, molto addolorata, ritenne allora conveniente riferirgli un suo presen­timento avuto dopo la Comunione, che cioè per portare a com­pimento l'opera si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti, momentaneamente perfino dal suo Padre Spirituale. Era soprattutto questo abbandono a farla soffrire, ma confidava che dopo questa dolorosa prova sarebbe tornata a confessarsi da lui e a ricevere i suoi saggi consigli.
Nonostante l'esplicita dichiarazione del Padre Naval di non abbandonarla per nessun motivo, di fatto, dopo alcuni giorni, costui le comunicò per telefono che il Superiore e il Vescovo gli impedivano di appoggiarla nella realizzazione della sua opera e che se si fosse ostinata nel proseguire sarebbe stata scomunicata. Madre Speranza, con rispetto, ma con altrettanta franchezza disse al Padre Antonio Naval: "Non è forse vero, Padre, che nel rivelarle i sentimenti della mia anima con la chiarezza con cui 1'ho fatto, lei ha compreso che era quella la volontà di Dio? Ha creduto o no che era volontà di Dio e che di Dio era la voce che avevo sentito nella mia anima?".
Il Padre le rispose: "Ti ripeto che credo fermamente che tutto viene da Gesù e che lui desidera che si faccia questa fondazione, però nonostante tutto ti dico che tenendo conto dell'atteggiamento del Vescovo, non si può realizzare ed io non posso seguitare ad aiutarti, né a dirigerti se non lasci per il momento tutto".
La Madre proseguì: "Non mi spaventa il fatto che lei mi abbandoni, Padre mio, infatti lei ben sa che provenendo la visione da Gesù, quello che lei fa era già previsto. Neppure la lotta mi spaventa, dato che lei stesso la vedeva arrivare e mi incoraggiava ad affrontar­la".
Poi alzandosi, senza forze e con il cuore a pezzi, ma non­ostante tutto piena di coraggio aggiunse: "Padre mio, le chiedo una sola cosa: essendo ormai arrivato il momento nel quale deve compiersi la volontà del Buon Gesù, quella, cioè, di essere lasciata sola e senza più poter rice­vere i sui saggi consigli, preghi perché non mi perda di corag­gio neppure per un momento e compia sempre la volontà di Gesù e se non avrò la sorte di vederlo ancora in terra, Gesù fac­cia che ci vediamo nel cielo".
"Qui cominciarono le lotte che venivano da persone molto buone come erano le mie sorelle della Congregazione, Sacer­doti, Religiosi e persone rispettabili, ma queste persone furono accecate ad opera dell'inferno intero, per la loro e la mia sofferenza".
Di fronte alla reazione negativa dei Superiori, Padre Anto­nio Naval andò anch'egli a Vicàlvaro per annunciare che anche il Vescovo di Madrid, Mons. Leopoldo Eijo y Garay, era di parere contrario perché l'opera si portasse a compimento, ma incoraggiò la Madre a perseverare nella sua decisione, con­vinto che quella era la volontà di Dio. Madre Speranza, molto addolorata, ritenne allora conveniente riferirgli un suo presen­timento avuto dopo la Comunione, che cioè per portare a com­pimento l'opera si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti, momentaneamente perfino dal suo Padre Spirituale. Era soprattutto questo abbandono a farla soffrire, ma confidava che dopo questa dolorosa prova sarebbe tornata a confessarsi da lui e a ricevere i suoi saggi consigli.
Nonostante l'esplicita dichiarazione del Padre Naval di non abbandonarla per nessun motivo, di fatto, dopo alcuni giorni, costui le comunicò per telefono che il Superiore e il Vescovo gli impedivano di appoggiarla nella realizzazione della sua opera e che se si fosse ostinata nel proseguire sarebbe stata scomunicata. Madre Speranza, con rispetto, ma con altrettanta franchezza disse al Padre Antonio Naval: "Non è forse vero, Padre, che nel rivelarle i sentimenti della mia anima con la chiarezza con cui 1'ho fatto, lei ha compreso che era quella la volontà di Dio? Ha creduto o no che era volontà di Dio e che di Dio era la voce che avevo sentito nella mia anima?".
Il Padre le rispose: "Ti ripeto che credo fermamente che tutto viene da Gesù e che lui desidera che si faccia questa fondazione, però nonostante tutto ti dico che tenendo conto dell'atteggiamento del Vescovo, non si può realizzare ed io non posso seguitare ad aiutarti, né a dirigerti se non lasci per il momento tutto".
La Madre proseguì: "Non mi spaventa il fatto che lei mi abbandoni, Padre mio, infatti lei ben sa che provenendo la visione da Gesù, quello che lei fa era già previsto. Neppure la lotta mi spaventa, dato che lei stesso la vedeva arrivare e mi incoraggiava ad affrontar­la".

Poi alzandosi, senza forze e con il cuore a pezzi, ma non­ostante tutto piena di coraggio aggiunse: "Padre mio, le chiedo una sola cosa: essendo ormai arrivato il momento nel quale deve compiersi la volontà del Buon Gesù, quella, cioè, di essere lasciata sola e senza più poter rice­vere i sui saggi consigli, preghi perché non mi perda di corag­gio neppure per un momento e compia sempre la volontà di Gesù e se non avrò la sorte di vederlo ancora in terra, Gesù fac­cia che ci vediamo nel cielo".

Tutta per i più poveri

"Tutta per i più poveri"
A fare la storia sono gli uomini e le donne che non si accon­tentano del presente. Madre Speranza era insoddisfatta del bene, ed era molto, che si faceva nell'Istituto delle Suore Mis­sionarie dell'Immacolata.
Pur trovandosi completamente a suo agio come religiosa, sentiva il bisogno di fare qualcosa di più. Desiderava favorire maggiormente i veri poveri e voleva che si facesse con vero spirito di povertà, con sensibilità misericordiosa verso tutte le povertà. L'esperienza di Calle Toledo le servì per maturare l'i­dea di dedicarsi non tanto alle giovani che potevano pagare, ma "ai più bisognosi". "Il mio più grande desiderio - scrive - è sempre stato quello di amare i poveri".
La profonda convinzione che era il Signore a mettere nella sua mente tali progetti la portò, dopo tanto silenzio, sofferenze e umiliazioni accettate con fede, a parlare e ad assumere atteg­giamenti decisi una volta ricevuta l'approvazione del suo Padre Spirituale. Il Signore l'andava preparando a compiere grandi cose, ma lei non pensava minimamente a fondare una nuova Congregazione e neppure pensava alle tante e incomprensibili difficoltà che avrebbe incontrato.
Ma chi erano "i più bisognosi" per i quali sentiva una pre­mura più che materna?
In quel particolare momento, per Madre Speranza i più bisognosi erano i bambini di famiglie povere perché esposti più degli altri alle manipolazioni dei nemici della chiesa. Que­sti avrebbero fatto di essi, molto facilmente, data la loro man­canza di cultura, degli strumenti per una sanguinosa rivolu­zione che si andava avvicinando
" In Spagna l'educazione dei poveri - osservava - è molto trascurata e per questo motivo si avvicina una terribile rivolu­zione.
I poveri a causa della loro scarsa cultura tanto religiosa che in­tellettuale, si trovano in uno stato di totale abbandono".
I persecutori della Chiesa avrebbero potuto iniettare facil­mente in essi la menzogna e l'odio, istigandoli contro i ricchi e, con il miraggio di raggiungere un'uguaglianza sociale e un facile benessere senza lavorare, li avrebbero spinti ad azioni inumane di sopruso e di violenza. Madre Speranza percepisce l'imminenza di questi tragici fatti. Si sente corresponsabile del male che i poveri possono fare se non mette in atto tutto ciò che l'amore le suggerisce. Vuole per questo affrettare la sua fondazione, convinta che non potrà più farlo una volta che la rivoluzione sarà iniziata. Comunicò al Padre Antonio Naval questi suoi progetti e la risposta ponderata e chiara fu che in essi effettivamente si vedeva la volontà di Dio ed era quindi conveniente affrettarsi. Lui stesso pose al corrente i Superiori e la Comunità della casa di Madrid incoraggiando quelle che lo desideravano a seguire Madre Speranza nel suo progetto di riforma. Ma di quest'ultima proposta Madre Speranza non fu contenta perché alcune suore che intendevano seguirla lascia­vano molto a desiderare e temeva che nella nuova fondazione pretendessero vivere come prima. Il Padre Spirituale la rassi­curò dicendole che vicino a lei non avrebbero avuto l'ardire di comportarsi come avevano fatto fino a quel momento. Quando il Padre Naval volle dare ulteriori spiegazioni Madre Speranza le disse: "Basta, Padre; a me non è necessario che dia spiega­zioni. Mi è sufficiente saper che, nonostante ciò che le ho espo­sto, lei lo voglia perché anche io lo voglia e lo faccia con gioia".
Fu così che per ordine del Padre Spirituale, accompagnata dalla Superiora, Madre Pilar, si recò a Vicàlvaro, dove risie­deva il Governo Generale, per esporre il suo progetto.


"Che vorrà il Buon Gesù da me?"

"Che vorrà il Buon Gesù da me?"
Era la domanda che Madre Speranza si poneva ogni giorno. Per avere una risposta pregava, si metteva in ascolto di Dio, soprattutto chiedeva aiuto al suo Padre Spirituale.
Nel suo Diario aveva scritto: "Il Buon Gesù mi ha detto che Lui desidera servirsi di me per compiere grandi cose".
Ma di quali cose si tratta? E in che modo? E... proprio di me che non valgo nulla vuole servirsi?
Sa soltanto che dovrà portare a termine un'opera per la cui realizzazione si sarebbe ritrovata sola, abbandonata da tutti. Intravede anche che questa opera, per l'immediato, consiste nella creazione di qualcosa a favore non delle giovani che po­tevano pagare, ma della gioventù più povera e più bisognosa. Ne parlò, oltre che con il Padre Spirituale, anche con i suoi Superiori e con il Vescovo perché si trattava di modificare le Costituzioni. Esse, infatti, secondo Madre Speranza, consen­tivano, sì, una intensa vita di contemplazione, ma non garanti­vano una piena attenzione e condivisione con i poveri. E lei sentiva, nelle profondità del suo cuore, proprio questo: un forte desiderio di unire alla vita contemplativa la cura dei più biso­gnosi. Sembrava anzi che quanto più cresceva la sua unione con Dio tanto più aumentava il suo desiderio di avvicinarsi come buon samaritano ai fratelli più bisognosi.
Tra le suore che componevano il consiglio generale, alcune le erano favorevoli, altre no. Il Vescovo da parte sua accolse con entusiasmo la proposta e chiese di fare un tentativo nel col­legio di Calle Toledo. Lì si aprì un internato e vennero accolte bambine povere. Madre Speranza, oltre ad essere economa e vicaria, si incaricava personalmente di esse.
L'esperienza fu positiva e le prospettive di sviluppo erano buone.
Ma nel Natale del 1927 avvenne un episodio straordinario e determinante che la stessa Madre Speranza racconta con ric­chezza di particolari e con il suo solito buon umore.
Un mese prima della grande festa di Natale cominciò a pen­sare che per quella circostanza non poteva esserci niente di più bello che dar da mangiare a molti poveri. Si rivolse alla Madre Superiora dicendo: "Madre io credo che sarebbe bene, durante le feste di Natale dare da mangiare a tutti i poveri che vorranno venire a questa nostra casa". Quando mancavano soltanto tre o quattro giorni tornò di nuovo dalla Superiora per chiederle la stessa cosa. "Di quanto denaro disponi per comprare ciò che è necessario per dar da mangiare a questi poveri?"- chiese la Superiora. "Ho solo 300 pesetas". "Va bene. Con questo dena­ro compri quello che può, lo metta in disparte e non prenda nulla dalla dispensa". Con 300 pesetas cosa si poteva compra­re? Non più del necessario per due o tre persone! Era già qual­cosa... un po' di carne, di olio, di frutta: ecco tutto quello che lei poteva mettere, ma a Gesù cosa sarebbe costato aggiungere il resto?
Il giorno di Natale vide arrivare fin dal mattino, come fioc­chi di neve, una quantità incredibile di poveri. La Superiora, spaventata, chiama Madre Speranza e le dice: "Venga a vedere: ... Crede che tutti questi siano veramente poveri?". "Penso di sì". "E chi li ha chiamati?'. "Io no, Madre; sarà stato il Signore!".
"Cosa pensa di fare a questo punto, Madre Speranza?"
Con una fede immensa e con una fiducia illimitata andò in cappella e così pregò: "Signore non hai forse detto: ‘Chiedete e vi sarà dato...? Non sei stato tu a mandare questi poveri?’.
"Il Signore - conclude Madre Speranza - fu così generoso che dopo aver dato con abbondanza da mangiare a tutti quei poveri, che tra uomini e donne erano più di quattrocento, avanzò carne, olio e frutta per due o tre mesi".
Il problema nacque quando si trattò di sistemare tutte quelle persone. Si decise per un loggiato che era nella casa.
Era bello, il giorno di Natale, vedere tutti quei poveri man­giare serenamente, pieni di gratitudine verso Dio e verso le suore che erano state la mano provvidente di Dio. Ma all'im­provviso arrivò una signora tutta risentita. Era una delle padrone della casa, una delle.... "Signore Cattoliche" che reg­gevano la casa. Apostrofò Madre Speranza, la colpevole di tutto, dicendo: "Chi le ha dato il permesso di far entrare tutta questa gente a sporcare la casa?". E Madre Speranza candida­mente: "No, signora, non sono venuti a sporcare la casa, ma a mangiare, perché oggi è Natale anche per loro". Si guardi bene - replicò la signora - dal portare un'altra volta tutta questa gente in casa; questo potrà farlo quando la casa sarà sua". A Madre Speranza non restò altro da fare che andare in cappella, come una povera sfrattata e mettersi in ascolto del Buon Gesù che le disse: "Speranza, dove non possono entrare i poveri, non devi entrare neanche tu. Parti subito da questa casa". "D'ac­cordo, Signore, ma dove vado?" - fu la pronta risposta di Madre Speranza. E si mise alla ricerca di un luogo per i suoi poveri.
Non fu questo l'unico contrasto con la Giunta delle "Signore Cattoliche". Altri ne seguirono e si giunse alla deci­sione di abbandonare la casa. Essa si chiuse il 29 dicembre 1928.
Il giorno stesso la Madre Generale accompagnò alcune suore in un'altra casa, trovata subito, provvidenzialmente, in Calle del Pinar.


Mordicchiando il pane come una pazza

Mordicchiando il pane come una pazza
Il Vescovo di Pasto, in Colombia, aveva fatto pubblicare nel Bollettino diocesano un fatto sensazionale: una religiosa spa­gnola gli si era presentata in bilocazione per dargli urgenti av­visi da parte di Dio. Questa religiosa risultava essere Madre Speranza.
Dall'America venivano persone al convento chiedendo di parlare con lei. Era necessario un antidoto alla vanagloria pos­sibile in questi casi, ed ecco il geniale padre Spirituale, Anto­nio Naval, imporre a Madre Speranza di attendere in portineria gli illustri visitatori mordicchiando un tozzo di pane come fa una scema.
Ma sentiamo il racconto fatto da lei stessa con una raffinata vena di santo umorismo:"Padre Antonio Naval mi disse: ‘Ho saputo che verrà il Governatore di Pasto e la sua signora insieme ad altra gente: hanno letto il Bollettino e vogliono conoscerti’.‘Oh, Padre, io fuggo da Madrid: vado a Vicàlvaro o a Tremp o dove lei desidera, ma non voglio che mi incontrino quando verranno’. ‘No, figlia, no! Io desidero che ti vedano, però ti dovranno incontrare facendo una cosa che dovrò prima pensa­re’. ‘Oh, mio Dio!’. E cominciai a tremare.Dopo qualche giorno mi dice: ‘Domani tu dovrai fare la parte della scema’. ‘Oh, Padre! per fare questa parte bisogna essere o molto intelligenti o veramente tonti, altrimenti la commedia non riesce bene e io non sono né molto tonta, né molto intelli­gente. Perciò non mi faccia fare questa parte!. "Sì, figlia, sì. Il Signore ti aiuterà". ‘E che cosa dovrò fare, Padre?’. ‘Ascol­tami, quando verranno, una suora aprirà la porta e tu ti troverai in una stanza, preparata, con un bel tozzo di pane in una mano, facendo finta che lo nascondi perché nessuno te lo tolga e nell'altra con un altro tozzo che mangerai a morsi, facendo in modo che te ne cada un po' dalla bocca’. ‘Mio Dio! Final­mente arrivò quella gente e tra essi la signorina Pilar de Arra­tia che non mi conosceva ancora, e lì contemplarono quell’Ecce Homo di Madre Speranza mentre mangiava pane solo, non avendo altro. Sentii che qualcuno diceva: ‘quello che sta facendo è un ordine del confessore’. Il risultato fu che dopo aver fatto io la parte della scema, fu il Padre confessore a ri­metterci perché tutti pensarono che io stavo obbedendo a lui, come realmente era e se ne andarono tranquilli e contenti di aver visto quella commedia.Io cercai di fare la mia parte nel migliore dei modi, ma nessu­no credette che ero veramente scema"

Portinaia al cioccolato:

Portinaia al cioccolato:
Sempre nella casa di Vicàlvaro Suor Speranza ricamò que­sto piccolo fiore.Come era bello l'abito delle religiose Claretiane!
Sullo sfondo nero del vestito e del velo, una pettina bianca, inamidata, lucida, incorniciava il volto delle suore. Per motiva­re l'interesse che aveva perché la sua pettina fosse sempre luci­da, bianca, stirata, Suor Speranza si prendeva molta cura anche di quella della Madre Generale.E lo faceva meravigliosamente. Era più che legittimo che una religiosa avesse cura della propria persona, del vestito, delle scarpe, della pettina... Ma la preoccupazione eccessiva per tutto questo, piaceva al Signore? Per chiarire il dubbio che cominciava a tormentarla, Suor Speranza si rivolse al Padre Spirituale. "Ci sono due cose, Padre che mi riempiono tanto la mente: le scarpe e la pettina". "Ma non c'è una suora incaricata di stirare le pettine?". "Sì, Padre, ma lo fa così male o con così poco gusto!". "Certo, proseguì il Padre, se non sono lucide le pettine sono brutte. E' naturale! Ha tutte le ragioni di questo mondo. Ne parlerò alla Superiora e poi ti dirò cosa devi fare".
"Io - racconta Madre Speranza - cominciai ad aver paura, per­ché, quando il Padre Spirituale mi dava un castigo pubblico, prima lo diceva alla Superiora. Dopo poco tempo torna e mi dice: ‘Già ho parlato con la Superiora; guarda: per un mese fa­rai tu da portinaia al Collegio però devi presentarti con la pettina ben sporca di cioccolata’. Io la sporcai un po'. Il giorno dopo andai ad aprirgli la porta e al vedermi, mi disse: ‘No, no, sporcala di più, molto di più’. Così dovetti fare la portinaia in queste condizioni per un mese intero. Mi sono scomparse tutte le voglie di perdere il tempo in una cura eccessiva della pettina".

Il Calvario... di Villena:

Il Calvario... di Villena:
La prima esperienza di vita religiosa Madre Speranza la fece, dunque, tra le Figlie del Calvario di Villena. Come lei stessa racconta, la sua vita in questo luogo, fu un vero e pro­prio... calvario. Non sappiamo esattamente perché, tra i tanti conventi di suore che c'erano nella zona abbia scelto proprio quello di Villena. Fu forse il Parroco D. Manuel o più probabil­mente il Vescovo di Cartagena e Murcia, D. Vicente Alonso Salgado, che consigliarono alla giovane Josefa quel monastero. Esso accoglieva l'unica comunità dell'Istituto che dopo una serie di trasferimenti a Tortosa, Alicante, Elche, Jàtiva, Murcia si era fermata a Villena nel 1900. Il Monastero era situato su una collinetta, non lontano dal paese, chiamata Calvario. La chiesetta che dava il nome al monastero risaliva al 1700: era una cappella in stile arabo con tre cupole, costruita con argilla e pietre. In essa si conservavano "Los pasos de Semana Santa", cioè i gruppi scultorei in legno o cartone che rappresentavano scene della passione di Cristo. L'Istituto era stato fondato da Esperanza Pujol, a Seo de Urgel (Lérida) nel 1863. Questa santa donna, tutta dedita alla contemplazione dei dolori di Gesù, volle fondare una Congregazione per moltiplicare il numero di coloro che avreb­bero dedicato la loro vita a consolare il cuore di Cristo per tutti i dolori subiti nella sua passione. Ma dispose che insieme alla contemplazione le suore si dedicassero anche all'educazione e alla formazione delle bambine.È interessante questo abbinamento. A suo tempo Madre Speranza chiederà alle sue Figlie e ai suoi Figli di impegnarsi in una vita che fosse nello stesso tempo attiva e contemplativa.La Fondatrice delle Figlie del Calvario si era consultata con D. Antonio Maria Claret, il Santo Vescovo di Trajanopolis (Cuba), il quale approvò la regola, molto austera, affermando che se fosse stata osservata con fedeltà Dio sarebbe stato de­gnamente servito, le Figlie del Calvario si sarebbero santificate e avrebbero contribuito alla santificazione di tante anime.Nel 1900 la Fondatrice Madre Esperanza Pujol scrisse un li­bretto intitolato "Los martirios de Jesucristo". Due anni dopo mori a Villena. Sicuramente questo libro costituiva un testo base di riflessione, formazione e preghiera per tutte le suore. Anche Madre Speranza crebbe a questa scuola, meditando le sofferenze fisiche, psicologiche e spirituali di Gesù. Nasceva così in lei il desiderio di immolazione, di offrirsi vittima di espiazione e di ringraziamento per tanto amore.Nel convento la giovane novizia trovò una decina di suore molto avanzate negli anni, alcune di salute malferma, con po­che speranze di nuove vocazioni perché la vita di sacrificio e di penitenza che praticavano spaventava le giovani aspiranti.Ma trovò anche, e questo la sorprese molto, mancanza di carità e un certo grado di rilassatezza.La povertà era estrema: non c'era né acqua, né luce elet­trica, né servizi igienici. Per procurarsi un po' di acqua si servi­vano di pozzi che raccoglievano quella che dal cielo mandava il Buon Dio nelle rare piogge autunnali e primaverili.......
Le suore dormivano in uno scantinato sotto la chiesa.:
Una volta alla settimana a turno uscivano per chiedere l'ele­mosina. Madre Speranza riscuoteva più di ogni altra le simpa­tie della gente e le offerte più generose. Le ragazze che ogni giorno venivano accolte per ricevere una formazione umana e cristiana erano una quarantina. Alcune di esse hanno lasciato interessanti testimonianze riguardo a Madre Speranza. Tutte rimanevano edificate dalla sua preghiera assorta e prolungata. Ognuna era convinta di essere la sua preferita. Ricordano il suo sincero interessamento per le loro famiglie. Era, affermano, nello stesso tempo molto materna e molto esigente. Quando nel 1921 venne trasferita a Madrid, senza sapersi spiegare come, perché la notizia era segreta, la gente di Villena si ritrovò alla stazione ferroviaria per un riconoscente e unanime saluto di addio.
Fu in questo ambiente che la giovane Josefa Alhama iniziò a muovere decisamente i primi passi nel cammino ascetico e mi­stico che l'avrebbe portata ai vertici della santità. Ma non fu facile come si era immaginata. Ben presto si rese conto che i suoi ideali non trovavano in quel luogo una risposta adeguata e andava pensando di lasciare il convento prima di emettere i voti perpetui.

Un'esperienza negativa

Un'esperienza negativa
Per saggiare la vocazione alla vita consacrata, che incominciava a prendere consistenza nei suoi desideri, volle fare un'esperienza presso una comunità di suore dedita all'as­sistenza dei malati. Di questa esperienza sappiamo quanto la Madre stessa racconta: 'Passando con la suora incaricata per una corsia, avevo notato un pover'uomo in fin di vita, ormai quasi con il rantolo e che soffriva molto. Lo indicai alla suora pensando che non se ne fosse accorta. La suora si avvicinò al letto del moribondo e con il lenzuolo gli coprì la faccia e partì. Io ne restai tanto sconvolta e provavo tanta pena per quell'uomo che soffriva; la suora se ne accorse e mi disse: “Vedrai che anche a te con il tempo ti si farà il cuore duro! Maria Josefa disse tra sé: "Mi basta questo: prima che il cuore mi si faccia duro, io me ne vado".
E lasciò quell'Istituto. Non voleva proprio che il cuore le di­ventasse duro, insensibile ai bisogni dei fratelli nei quali vede­va con luminosa trasparenza l'immagine stessa di Dio e ai quali desiderava portare la tenerezza della sua misericordia infinita.


L'acqua e il pane:

L'acqua e il pane:
L'ambiente geografico nel quale Madre Speranza nacque e visse i primi anni della sua vita è quello caratteristico del le­vante spagnolo. Il clima subdesertico le conferisce una propria originalità.Le piogge sono rare e riservate solo a brevi periodi del­l'anno. Il cielo quasi sempre limpido indusse gli Arabi a chiamare questa regione "Il regno serenissimo dell'Azzurro"; infatti, nonostante la "calina", l'atmosfera è limpida, il vento è dolce come in poche altre parti della Spagna.Il pane, quando nacque Madre Speranza, scarseggiava.Le condizioni della Spagna, alla fine del secolo XIX, erano molto precarie. Dopo le guerre dinastiche e una serie di colpi militari, aveva perso anche gli ultimi possedimenti coloniali in America e nel Pacifico per cui venne a determinarsi una situa­zione di arretratezza nelle strutture sociali ed economiche.È impressionante la miseria e l'abbandono in cui vivevano le persone specialmente della campagna.Tra l'acqua e il pane, tra l'ambiente geografico e sociale c'è una grande interdipendenza.L’acqua ...questa creatura così umile e così preziosa, così bella e così spaventosa, è stata ed è la grande ricchezza e la grande sventura di molti paesi: anche di quello dove è nata e ha trascorso i primi anni di vita Madre Speranza.
L'acqua dà la vita e dà la morte; dà il pane e porta la care­stia. La sua forza a volte straripante deve essere controllata,addomesticata perché diventi energia e fonte di vita.
Essa ha avuto una grande importanza nella vita di Madre Speranza. Da un paese povero d'acqua del Levante di Murcia giungerà un giorno ad un altro paese della verde Umbria, ma anch'esso povero d'acqua, dove però scaturirà, nel punto da lei indicato, una fonte misteriosa, che lungo il corso dei secoli ser­virà a dissetare i pellegrini e a guarire malattie dell'anima e del corpo.
Il fiume Segura è la grande risorsa di questa regione. I campi che si trovano al di sotto del fiume costituiscono la fa­mosa "huerta". Abbondantemente irrigati producono una grande quantità di limoni, cotone, ortaggi. Soprattutto limoni, fino al punto che Santomera è stata chiamata "El limonar de Europa".Ampie estensioni del territorio di Santomera, dove non arrivava l'acqua per irrigare, erano un tempo aride e incolte. Attualmente un grande lago artificiale, costruito nell'anno 1950, regola il flusso dell'acqua."Riadas" e "rambladas" erano i due nemici più temibili. Bastava uno straripamento del fiume Segura, non lontano, per­ché tutto venisse miseramente travolto. Erano queste le temute "riadas". Oppure bastava una pioggia abbondante e improvvisa, quando la terra riarsa non ne assorbiva abbastanza, per trascinare via tutto ciò che incontrava. Erano queste le cosiddette "rambladas". Il 26 Settembre del 1906 una catastrofica "riada" provocò trentuno morti e la distruzione di quasi metà delle case.
Fu in questa occasione che insieme alla baracca nella quale abitava la famiglia Alhama anche un fratellino della Madre, Je­sús Marta, di pochi mesi, venne portato via dalla violenza delle acque. E la famiglia si ritrovò improvvisamente senza un luogo di rifugio e senza uno dei suoi membri.

Per essere pane

Per essere pane
Madre Speranza, nata in una famiglia povera, conosceva bene il valore del pane. Sapeva quanto sudore costasse a suo padre. Era buono quel pane che profumava la mensa e nutriva il corpo, che donava volentieri ai poveri, anche se era poco.
Il pane... quello che il Sacerdote consacra e diventa Corpo di Cristo!
Ma quale travaglio perché il seme arrivi ad essere pane!
Ci vuole un po' di immaginazione per contemplare in un chicco di grano o nei campi risplendenti di messi dorate, pani profumati che sazieranno la fame degli uomini. Un chicco di grano è una piccola cosa, ma in esso c'è una potenzialità, un dinamismo sorprendente.
Il seme, però, perché possa sprigionare la potenza creatrice che porta in sé deve marcire nella terra umida, scomparire, diventare nulla. Solo allora il frutto sarà abbondante.
"Se il chicco di grano - insegna Gesù - caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". La vita di Madre Speranza è in questa prospettiva di totale e gioioso annientamento.
Ha pagato volentieri questo prezzo per diventare, sull'esem­pio di Gesù, pane per alimentare i suoi figli e i suoi fratelli.
Lo ha fatto per amore. Solo per amore. Con tutto l'amore. Per sé e per la sua Famiglia Religiosa aveva, infatti, scelto il motto: "Tutto per amore".
Queste convinzioni sono mirabilmente espresse in una delle più belle pagine del suo Diario: "Tu devi tenere ben presente - è il Signore che le parla - che io mi sono sempre servito delle cose più povere e inutili per fare quelle più grandi e magnifiche. Per ottenere un grande rac­colto di grano è necessario gettare a terra la semente, rico­prirla di terra, sottoporla all'azione dell'acqua, del sole, del freddo, della neve; infine questa semente deve imputridire e scomparire per poter fruttificare e produrre grande quantità di grano.
Tutto ciò non è ancora sufficiente perché il frutto possa servire da sostentamento all'uomo; occorre, infatti, che il grano sia triturato, macinato e trasformato in farina, che passata al setaccio viene separata dalla crusca, e quindi è pronta per essere impastata con l'acqua e ben cotta. Allora potrà servire come principale alimento per l'uomo. Così tu devi passare attraverso questa elaborazione per poter arrivare ad essere ciò che lo desidero e così possa servirmi di te come alimento per molte anime".
Il pellegrino che visita il Santuario dell'Amore Misericor­dioso di Collevalenza rimane ammirato per la bellezza, la grandiosità e l'armonia del complesso sorto per opera di Madre Speranza, ma solo penetrando nella penombra della cripta trova il segno e la ragione ultima dello straordinario svi­luppo delle sue opere.
Lì c'è la sua tomba. Il pavimento si solleva come fa il ter­reno quando un seme viene gettato in esso e germogliando, lo rimuove.
Segno di speranza e simbolo di una straordinaria fecondità, quasi immagine di un grembo materno pregnante, quella tomba ricorda ai pellegrini, che numerosi visitano il Santuario dell'Amore Misericordioso, la persona e la vita di una crea­tura, che si è andata ogni giorno più identificando con Cristo, che si è lasciata macerare per diventare pane profumato, ali­mento per nutrire gli altri di sé, sorriso che apre il cuore alla più grande speranza.


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PENSIERO DI MADRE SPERANZA:

PENSIERO DI MADRE SPERANZA:

Il suo primo e unico desiderio fu quello di fare sempre e in tutto la volontà di Dio, spinta dalla forza di un amore tenace e appassionato che la rendeva pronta ad accettare qualunque sa­crificio.

Così esprimeva questi suoi desideri: “Aiutami, Dio mio a far sempre la tua Divina Volontà”.

"Dà alla mia debole volontà la forza e la costanza di cui ha bisogno, per non volere né desiderare alcuna cosa al di fuori del compimento della tua volontà".

“Si compia, mio Dio, la tua volontà anche se essa mi fa soffri­re molto. Si compia la tua volontà anche se non la comprendo. Si compia la tua volontà anche quando io non la vedo”.

È l'amore, che sta al di sopra della ragione, che non conosce ostacoli o limiti, totalmente polarizzato in Cristo, che spiega questo suo anelito e diventa la ragione stessa del suo esistere. "L'amore - scrive - è fuoco che consuma, è vivo e, come il fuoco se non brucia, se non scotta, non è veramente fuoco. Così anche l'amore se non opera, se non soffre, se non si sacrifica non è amore. Chi possiede l'amore di Gesù non può stare quieto e tranquillo, ma è sempre disposto al sacrificio. Non si stanca, non viene meno e siccome ogni giorno scopre nella persona amata nuove bellezze, nuovi incanti, in ogni momento desidera sacrificarsi e morire per lei".

Per Madre Speranza amare significa innanzitutto identifi­carsi con Dio, essere totalmente assorbiti da lui e vivere cer­cando unicamente il suo bene e la sua gioia. Questo amore porta necessariamente con sé l'esigenza di consumare la vita nell'offerta di tutto il proprio essere in un gesto supremo di amore gratuito coinvolgendo la persona nelle sue varie compo­nenti. Man mano che l'anima cresce in questo amore aumenta il desiderio di immolarsi e di annientarsi perché in essa non ci sia altro che Dio.

"Gesù mi dice che debbo tenere continuamente presente che l'amore se non soffre e non si sacrifica non è amore".

E' solo sperimentando fino in fondo la croce che si arriva a possedere la scienza della croce. Chi ama non si dà pace fino a quando non ha ottenuto di condividere con l'amato il calice della sofferenza. Certamente la perfezione non consiste nelle sofferenze prese in se stesse, ma nella purezza, intensità e profondità del­l'amore che porta necessariamente a dimenticare se stessi e ad accettare tutto, anche il dolore.

In alcune pagine del suo Diario, Madre Speranza raggiunge i vertici della sua unione con Dio ed esprime lo stupore e l'in­contenibile gioia del suo animo nel costatare e sperimentare il fuoco inebriante di questo amore divino.

"Il Buon Gesù ha fatto con me una vera pazzia d'amore... Ha imbalsamato il mio spirito con quel balsamo soavissimo del­l'amore, chiamato da lui il balsamo del dolore, del sacrificio e dell'abnegazione; ma io posso solo chiamarlo il balsamo del­l'amore: è l'aroma delicato che fa uscire l'anima da sé per entrare nel suo amato; è quella soavità che fa sgorgare dal cuore consolanti espressioni di affetto per Lui; è quel profumo che solo Lui sa preparare e che lascia l'anima strettamente unita a Lui senza rendersi conto di ciò che avviene intorno; è quel balsamo che genera nell'anima fame e sete del suo Dio e fa sì che, come il cervo assetato, corra alla fonte dell'amore".

Ma lei sapeva bene che i grandi ideali si realizzano nei pic­coli gesti ordinari. Il suo non era un ideale vago ma una risolu­zione ferma e decisa, una serena inquietudine che l'accompa­gnava in ogni luogo e si concretizzava nella pratica eroica delle virtù cristiane.