giovedì 17 marzo 2016

A tutte queste tentazioni non bisogna soccombere abbandonando la preghiera, ma continuare a perseverare in essa con dolcezza, e tornare a raccogliersi mediante la semplice considerazione che Dio è nostro Padre e ci ama. “A Gesù dispiace quando, per una falsa umiltà, ci riteniamo esclusi dalla sua sollecitudine e attenzione paterna… Per quanto mediocri e insignificanti potremmo essere, siamo sufficientemente importanti perché il nostro buon Padre si occupi di noi con la stessa premura che avrebbe se fossimo soli al mondo. Pertanto dobbiamo abbandonarci nelle sue braccia come bambini piccoli, alimentando il nostro spirito con questo pensiero o, meglio, con questa verità: Gesù mi ama…”(El pan 2, 4).
A noi principianti della preghiera, Madre Speranza raccomanda, quindi, di continuare a perseverare in essa quotidianamente con dolcezza, resistendo alla tentazione di abbandonarla, ancora forte in questa tappa. A volte ci sembrerà di essere presuntuosi se desideriamo la santità, oppure potremmo sentirci già così sconfitti in partenza e senza speranza di risultati, da non trovare nemmeno la forza di ricominciare. Altre volte avremo l’impressione forte di avere così tante cose da fare da non poter essere capaci di riservarci del tempo per pregare o, peggio, da pensare che la preghiera sarebbe piuttosto un perdere tempo di fronte all’agire. Ma questo, come insegna Madre Speranza, equivarrebbe al ritenere che le nostre opere umane, per quanto buone, sono più necessarie della Grazia che Dio elargisce attraverso la preghiera (cfr.El pan 14, 17).
La misericordia,, è il vero giudizio sulla verità della vita e sulla
verità della fede. Spesso noi pensiamo che la fede non appartenga alla vita e che essa si compie all’interno del Tempio: la quotidianità è il luogo della fede
Chi vuol salvare la propria vita la perderà, e chi la perde per Me la salverà”. È necessario perdere tutto per possedere Lui; si perde l’umano e si ottiene il divino.
Che ci resta da fare per giungere alla santità? Ancora molto, figlie mie. Abbiamo fatto molto se siamo giunte alla vera pietà, perché è scomparso il disordine di preferire il nostro interesse alla gloria di Dio, però è ancora lontana la nostra unione con Lui. La nostra soddisfazione è sottomessa, però non è ancora rientrata in Dio. Certamente il principio vitale dell’anima va sviluppando la sua azione, ma è necessario intraprendere un nuovo lavoro perché l’anima entri nel cammino della santità.
La perfezione, figlie mie, allontana definitivamente il primo male perché elimina il disordine delle preferenze umane, e si chiama perfezione perché l’anima torna allo stato libero da ogni turbamento. Si è raggiunto il bene, Dio è al primo posto, però la purezza d’intenzione è lontana dall’aver raggiunto tutta la sua espansione, dato che ci sono infiniti gradi nello sviluppo superiore della nostra integrale purificazione.
(Madre Speranza)

Le Beatitudini


Le Beatitudini

Care figlie, con l’aiuto di Gesù desidero spiegarvi le beatitudini. I cinque atti della povertà di spirito, che è la prima beatitudine, sono: rinunciare nel proprio spirito alle cose terrene; rinunciare di fatto, per amore di Dio, alle cose che si possiedono; purificare l’anima della vanità, disprezzando gli onori del mondo; liberare lo spirito dalla volontà e dal giudizio proprio quando non sono conformi a quelli di Dio; rinunciare a se stessi riconoscendo di non possedere alcunché di proprio che sia buono.
Figlie mie, sono questi i cinque gradi eroici della povertà in spirito. Noi, Ancelle dell’Amore Misericordioso, poniamo attenzione all’esempio che di questo ci ha lasciato Gesù, nostro buon Maestro. Se lo seguiamo, Egli ci promette in premio di farci eternamente felici.
Gli atti eroici della seconda beatitudine, la mansuetudine, sono tre: reprimere l’ira nei suoi impulsi interni ed esterni; essere affabili con tutti; non ricambiare male per male, né opporsi con violenza a chi ci ingiuria. Imitiamo gli esempi del buon Gesù, che ci dice: "Imparate da Me, che sono mite ed umile di cuore".
Gli atti eroici di chi piange, terza beatitudine, sono quattro: porre un freno al nostro ridere, allo scherzo e al divertimento; piangere sui nostri peccati, come fece San Pietro; piangere sui peccati altrui; piangere sul nostro esilio, perché ci tiene lontani dalla Patria celeste, nella impossibilità di vedere Dio e in pericolo di fargli dispiacere a causa delle nostre passioni che, come fiere, ci accompagnano, aggrediscono e seducono.
Osserviamo il nostro buon Gesù che mai fu visto ridere, mentre più volte fu visto piangere. Egli ci dice quale sarà il premio o il castigo: "Guai a voi che ora ridete, perché poi piangerete!". Gli atti della virtù della quarta beatitudine, la giustizia, sono cinque: compiere fedelmente, senza tralasciarne alcuno, i nostri doveri verso Dio e verso il nostro prossimo; desiderare di crescere sempre più nelle virtù; avere fame e sete di giustizia; avere una fame insaziabile di ricevere Gesù Cristo, nostro Signore, nell’Eucaristia e spiritualmente; desiderare con amore di ricevere la corona della giustizia, anelando a vedere Dio. In questo consiste il fervore dello spirito.
Consideriamo l’esempio di Gesù, che dice: "Mia volontà è fare la volontà del Padre mio". "Ho sete!". Qual è la nostra sete più ardente? Quella di amare? Il nostro desiderio è di far piacere a Dio? Figlie mie, il premio sarà la sazietà di doni, di grazie e di gioie interiori dello spirito, perché il Signore si dona ai giusti, in cibo durante questa vita e in visione nell’altra. Egli ci ha indicato anche il castigo: "Guai a coloro che sono sazi, perché avranno fame!".
Gli atti di virtù della misericordia comprendono quelle che chiamiamo le quattordici opere di misericordia. Queste consistono nel soccorrere il nostro prossimo in ogni sua miseria spirituale e corporale, senza fare eccezioni, e di soccorrerlo con sentimenti di compassione e lo sguardo rivolto al nostro divino Maestro. Gli atti e le condizioni dei puri di cuore sono due: purezza del cuore da ogni peccato e semplicità del rapporto con Dio e con gli altri uomini.
Teniamo presente, figlie mie, che sul monte del Signore salgono solo coloro che hanno mani innocenti e cuore puro. I gradi della pace, come beatitudine, sono quattro: pacificare se stessi, ossia assogettare la carne allo spirito; far pace e unione con gli altri; pacificare gli uomini tra di loro e con Dio. Il premio consiste nell’essere chiamati figli di Dio; ciò significa che Dio avrà per essi un amore speciale.
Figlie mie, non dovete confondere la pace con la tolleranza dei difetti, dei peccati o di cose mal fatte; sarebbe un errore e significherebbe non amare né Dio né il prossimo. La carità e il vero amore, infatti, non scendono a patti con il male, l’inganno e il peccato. In una parola, pacificare le anime con Dio significa volgerle al bene, non permettendo che facciano il male. La carità ci insegna che se amiamo il nostro prossimo cercheremo di togliere da lui tutto ciò che gli impedisce l’unione con Dio.
Soffrire persecuzione per la giustizia, come beatitudine, è sopportare con pazienza e letizia ogni ingiuria e afflizione che il demonio, nemico della virtù, e gli uomini, nemici del bene, ci procurano, non a causa dei nostri delitti, ma della nostra fede, della religione, del compimento dei nostri doveri di professione religiosa. L’esempio ci viene dallo stesso Gesù nei tormenti da Lui sofferti. Figlie mie, sono premio a questa virtù la gioia e la pace della vita eterna. (El pan 8, 1001-1010) Di solito il nostro amore a Dio è un misto di amor puro e di amore di speranza; ossia amiamo Dio non solo perché è nostro Padre infinitamente buono, ma anche perché è la fonte della nostra felicità. Questi due motivi non si escludono a vicenda, perché Dio stesso ha disposto di farci incontrare la nostra beatitudine nell’amarlo e servirlo. (El pan 15, 77)
Rendiamo credibile, figlie mie, la nostra amata Congregazione con la santità delle nostre azioni e per questo dobbiamo vivere con il cuore riposto nelle cose del cielo, ardere nel fuoco della carità di Dio e, trasfigurate dall’azione di queste virtù, arriveremo a essere luce e guida per i nostri fratelli aiutandoli ad arrivare al possesso della beatitudine e noi potremo avere la fortuna che il buon Gesù ci voglia ricompensare con il possesso di quella patria dove la fede perde tutti i veli, la speranza resta pienamente soddisfatta e la carità si consuma nell’amore eterno, nella visione beatifica. (El pan 20, 274)Il mondo, sempre assetato di concupiscenza, susciti in noi solo tedio e ripugnanza. Il nostro atteggiamento e il nostro modo di agire siano per il mondo e per i mondani espressione di condanna dei loro vizi e disordini. Per ottenere questo è necessario che non dimentichiamo mai che siamo stati chiamati ad essere la luce del mondo. Luce per tutti quelli che ci avvicinano e vedono le nostre buone opere, effetto della grazia e della virtù che Dio infonde nell’anima che, per amor suo e della sua gloria, disprezza il mondo e le sue vanità e si consacra a Dio e all’esercizio della carità.
Che altro ci resta da fare per essere luce e condurre a Dio il nostro prossimo? Santificarci. La santità, infatti, produce in coloro che la vedono una profonda impressione e li porta ad ammirare a stimare la religione che sa infondere così solide virtù. E’ questo senza dubbio il mezzo più efficace per suscitare nelle anime timide il coraggio di lottare contro la tirannia del mondo e il rispetto umano. (El pan 15, 39-40)Il desiderio della perfezione si può così definire: un atto della nostra volontà che, sotto l’impulso della grazia, aspira incessantemente alla nostra crescita spirituale. Sovente questo atto è accompagnato da emozioni ed affetti che aumentano notevolmente il desiderio, ma che non sono in alcun modo necessari.
L’origine principale di questo desiderio è Dio che ci ama fortemente, vuole essere unito a noi e ci cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di noi. D’altra parte, quando la nostra povera anima, illuminata dalla luce della fede, si volge a se stessa, là nel proprio intimo sente un vuoto talmente grande, che comprende non poter essere colmato che da Dio. Così anela ardentemente a Lui, all’Amore divino, alla perfezione e, come cervo assetato, alla fonte dell’acqua viva. Siccome qui sulla terra mai potrà essere saziato questo desiderio, perché sempre rimane del cammino da percorrere per arrivare alla pienezza dell’unione con Dio, avviene che, se noi non lo ostacoliamo, questo amoroso desiderio della nostra perfezione per la gloria di Dio, crescerà continuamente. (El pan 15, 148-149)
( Madre Spweranza)

LA VITA DI MADRE SPERANZA:

LA VITA DI MADRE SPERANZA:
La Madre Speranza è nata il 29 settembre 1893 a Santomera a sud della Spagna nata da una famiglia di braccianti agricoli. Era la prima di 9 figli. Abitavano in una casa che può definirsi meglio col nome di capanna col tetto di paglia, ubicata sul greto di un torrente. Durante un'inondazione di questo torrente, la capanna fu spazzata via e, in quel incidente, morì anche un fratello della Madre. I genitori, non sapendo come proteggere i figli, li collocarono presso qualche famiglia benestante. La Madre Speranza, che al battesimo fu chiamata JOSEPHA ALHAMA VALERA, fu ospitata nella casa del parroco; questi aveva due sorelle maestre, che vista l'intelligenza della bambina, le insegnarono a leggere e a scrivere. Un giorno, aveva 7/8 anni circa, mentre stava solo in canonica, le si presentò una suora giovane e bella, che gli disse:" Non vengo a chiederti qualcosa, ma vengo, da parte di Dio, a dirti che tu dovrai proseguire l'opera che io ho iniziato, dal punto in cui io l'ho lasciata."... Quando tornò il parroco la bimba le disse della suora e chiese quale lavoro dovesse continuare, pensando che si trattasse di un lavoro che lui avesse affidato alla suora. Il parroco cercò la suora ma non la trovò e archiviò il caso. Quando poi Josepha entrò in convento, in sala d'attesa vide l'immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù, e riconobbe che quella era la suora che aveva visto da bambina..........Altro episodio di Josepha da bambina, fu la prima comunione. A quel tempo la prima comunione si faceva a 14 anni, ma lei sentiva forte il desiderio di unirsi a Gesù e un giorno in cui il parroco era assente e celebrava un sacerdote che non la conosceva, si vestrì in modo da sembrare più grande , si recò in chiesa e ricevette l' Eucarestia. In ginocchio per il ringraziamento, disse a Gesù:" Gesù, ora non andartene, perchè queste signore andranno ad accusarmi dal parroco e sarò castigata e non potrò riceverti"... Avvenne secondo previsto e lo scandalo più gramde fu che aveva fatto la comunione dopo aver mangiato una buona tazza di cioccolata calda. Al che la bimba rispose:" Non vi preoccupate, il cioccolato è andato nello stomaco e Gesù è andato nel cuore"::..Da quel giorno JOSEPHA non saltò più la corda, per rispetto a Gesù che aveva nel cuore e quando, anni più tardi, iniziarono per lei i fenomeni mistici, Gesù le disse che era rimasto in lei sacramentale fino a quando non potè riceverlo tutti i giorni.....
Se tutto si presenta piano, senza ostacoli, e percorriamo una strada ben delineata, in situazioni gradite che rendono semplice la vita, tra lodi e onori che addolciscono i nostri doveri, è facile essere precisi nel compimento del dovere. Ma diventa molto difficile, quando per indisposizione del corpo o dell’anima, si perde il gusto di ciò che si deve fare e il dovere viene offuscato da ombre oscure. In tal caso è facile assecondare la tentazione di abbandonare tutto, soprattutto di trascurare la cura degli altri per preoccuparci solo dei nostri mali e dispensarci dagli obblighi che esige la nostra vocazione: carità, sacrificio, abnegazione e lavoro. Il Maestro ci dà l’esempio. Egli non solo si sacrifica e soffre per tutti, ma arriva a dare la vita, e lo fa senza alterarsi, nonostante la sua anima sia gravata dalla sofferenza interiore. Nonostante la debolezza, il tremore delle gambe e un’altissima febbre, tre volte torna dai suoi per avvisarli e premunirli, come buon Padre e Pastore delle loro anim